In fondo che cosa c'era
di importante?
Di fondamentale, di
fermo, sicuro.
Ogni tanto le cose le
sembravano così distanti sbiadite grige piatte irrilevanti.
Alcune mattine, seduta in
cucina, al tavolo giallo, osservando le dispense oridnate, i tulipani
nel vaso accanto alla finestra (Jack glieli portava freschi ogni
sera), il lavandino luccicante ed asciutto, l'aroma del caffè ancora
disperso e aleggiante nella luce pulita, lattea, vitrea, luminosa del
mattino, tutto le sembrava vuoto.
Il silenzio era fermo, la
casa immobile, le lenzuola bianche e fresche, le sue guance rosa e le
sue labbra rosse, i bambini a scuola, Jack in ufficio.
Kitty sedeva in cucina
assaporando quesi secondi pesanti, vuoti, immobili, in cui tutto era
stato riassettato, pulito, profumato.
Quel momento in cui tutto
poteva succedere, in cui la mattina era ferma.
La mattina era il primo
momento della giornata che preferiva. Still.
Dopo essersi alzata, aver
tirato le tende, guardato la siepe dalla cucina, accendeva la radio
(giornata cattiva, doveva coprire il silenzio) oppure ascoltava il
rumore del risveglio (giornata buona). Preparava le uova, il toast,
il burro, il succo di melograno, le tazze azzurre sul tavolo, i
tulipani vicino la finestra.
Si sedeva, volto alla
finestra sopra il lavandino, verso la siepe, accendeva una sigaretta,
tirava una lunga boccata ed un lungo respiro, e aspettava.
Si sentiva pienamente
padrona del momento, sapeva dov'era, chi era, la sua pelle era bella,
le tazze dritte, i tulipani bagnati e freschi.
Non contava il dopo.
Il momento era perfetto.
E basta.
Il secondo momento
preferito della giornata di Kitty era la sera, le cinque o le sei. La
luce era arancione, i bambini guardavano la tv, la doccia era stata
fatta, Jack leggeva il giornale, la cena era pronta.
Kitty usciva
dall'ingresso principale, sedeva sui gradini, accendeva una
sigaretta, tirava una lunga boccata ed un lungo respiro e osservava.
Osservava la strada farsi
silenziosa, le cose tornare al loro posto, le persone alle loro case,
la campagna risvegliarsi, le macchine lungo i vialetti, le vicine
dalle finestre nelle cucine.
Tutto ciò che si poteva
fare nella giornata era stato fatto, le promesse del mattino
mantenute o no, ormai scendeva la calma. Le menti si fermavano, le
mogli abbracciavano i mariti, gli stufati erano sul fuoco.
Kitty non era mai stata
d'accordo con l'uso del termine “grande depressione” per la crisi
del '29. In particolar modo non capiva l'accezione negativa del
termine “depressione”. Deprimere era sì schiacciare ma anche
lasciare uscire fuori la pressione, liberare. Ora, nel 1955, tutta la
pressione era accumulata , schiacciava come gommapiuma.
Ovunque.
Kitty la vedeva e la
sentiva ovunque.
Negli occhi di Jack
quando tornava dalla città, nei sorrisi di Francine, denti bianchi e
rossetto perla, quando le serviva un margarita al cocktail party,
nello sguardo dei suoi figli seduti dritti sul divano foderato di
nuovo del loro salotto, in Warwick Road, numero 15, Castelbury, New
York, in posa per la foto delle cartoline di Natale del 1954.